Intervista
ad una donna sopravissuta alla bomba atomica che all’epoca dei fatti aveva 15
anni ed ebbe il volto devastato dall’esplosione.
La
donna ricorda molto bene gli avvenimenti di quel giorno, e le sofferenze che
seguirono sia fisiche che materiali.
Andava
a scuola e le piaceva la vita, sognava un’esistenza normale, era alta e
robusta, tanto che un suo professore le disse che avrebbe potuto combattere
contro gli americani.
Gli
studenti venivano reclutati per lavorare per la guerra, le ragazze non potevano
vestirsi con abiti femminili né truccarsi per non sprecare risorse, lei era
contenta di servire il suo paese, viveva sola con la madre.
Chi
si lamentava veniva deportato.
Ricorda
che c’erano tanti militari, anche feriti e che provava pietà per loro ma che
ancora non sapeva che avevano ucciso molte persone in Asia perdendo comunque la
guerra, la popolazione era allo scuro della situazione.
I
bombardamenti erano dappertutto ma non a Hiroshima, tanto che giravano voci
strane sul perché di questa scelta
Viveva
a cinquecentocinquanta metri dal centro dell’esplosione che fuse tutto, la
casa, le cose e la gente.
Quella
mattina si era alzata presto, alle otto meno cinque era in strada, insieme a
tanti studenti, sentì il rombo di un aereo ma non ci fu allarme, poi un lampo
con dei colori bellissimi e poi sentì che la faccia le si gonfiava, intanto
vide la sua amica accanto volare nel
fiume, mentre un’altra fu risparmiata salvata dalla sua ombra.
Fu estratta viva da sotto alle macerie e
portata dalla madre al centro di soccorso, attorno a lei la gente moriva anche
senza ferite apparenti, le rimasero impressi i vermi e le mosche che si
cibavano delle persone ancora vive, si è chiesta come mai la bomba aveva ucciso
le persone ma non i vermi.
Per
i primi tempi fu curata dalla madre che le applicò patate e cetrioli sulle
ferite, poi dopo sei mesi di ospedale cominciò a stare meglio ma era sfigurata;
le rimase impresso l’odore delle pile di
cadaveri che venivano bruciati perché erano tantissimi, e anche il fatto che
non furono mai trovati i cadaveri dei
suoi cugini che dormivano con lei, forse fusi insieme alla casa.
I
primi tempi sopravissero vendendo il ferro che trovavano sotto terra, nessuno
della popolazione era al corrente dei pericoli delle radiazioni, poi la
madre cucì abiti in stile occidentale
con avanzi di kimono e divise, lavorando anche per lei che era impossibilitata
a farlo e tornò comunque a scuola.
Ricorda
le vessazioni subite per il suo aspetto e sottolinea che vi furono differenze
tra le vittime della tragedia, infatti alcune come lei persero tutto mentre
altre conservarono almeno qualche bene.
I
suoi concittadini la criticarono molto anche per la scelta di andare negli
Stati Uniti a farsi operare dal nemico
ma lei testimonia anche il suo risentimento contro l’imperatore Hirohito che
disse che aveva pietà per le vittime ma che la bomba era stato un atto
necessario per far finire la guerra.
La
sua vita dopo le 26 operazioni di chirurgia plastica è stata dignitosa ma la
bomba se l’è sempre portata dentro, inoltre ha vissuto sempre con il rimpianto
di non aver mai potuto costruirsi una famiglia sua.
La
testimonianza finisce con questa sua riflessione.
“Ci
dicono che le bombe hanno portato la pace. Ma come è possibile costruire la
pace sulla miseria e la soffernza?”
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