Jun 10, 2014

Il lampo di fuoco di Hiroshima riassunto medie





Intervista ad una donna sopravissuta alla bomba atomica che all’epoca dei fatti aveva 15 anni ed ebbe il volto devastato dall’esplosione.
La donna ricorda molto bene gli avvenimenti di quel giorno, e le sofferenze che seguirono sia fisiche che materiali.
Andava a scuola e le piaceva la vita, sognava un’esistenza normale, era alta e robusta, tanto che un suo professore le disse che avrebbe potuto combattere contro gli americani.
Gli studenti venivano reclutati per lavorare per la guerra, le ragazze non potevano vestirsi con abiti femminili né truccarsi per non sprecare risorse, lei era contenta di servire il suo paese, viveva sola con la madre.
Chi si lamentava veniva deportato.
Ricorda che c’erano tanti militari, anche feriti e che provava pietà per loro ma che ancora non sapeva che avevano ucciso molte persone in Asia perdendo comunque la guerra, la popolazione era allo scuro della situazione.
I bombardamenti erano dappertutto ma non a Hiroshima, tanto che giravano voci strane sul perché di questa scelta
Viveva a cinquecentocinquanta metri dal centro dell’esplosione che fuse tutto, la casa, le cose e la gente.
Quella mattina si era alzata presto, alle otto meno cinque era in strada, insieme a tanti studenti, sentì il rombo di un aereo ma non ci fu allarme, poi un lampo con dei colori bellissimi e poi sentì che la faccia le si gonfiava, intanto vide la  sua amica accanto volare nel fiume, mentre un’altra fu risparmiata salvata dalla sua ombra.
 Fu estratta viva da sotto alle macerie e portata dalla madre al centro di soccorso, attorno a lei la gente moriva anche senza ferite apparenti, le rimasero impressi i vermi e le mosche che si cibavano delle persone ancora vive, si è chiesta come mai la bomba aveva ucciso le persone ma non i vermi.
Per i primi tempi fu curata dalla madre che le applicò patate e cetrioli sulle ferite, poi dopo sei mesi di ospedale cominciò a stare meglio ma era sfigurata; le rimase impresso l’odore  delle pile di cadaveri che venivano bruciati perché erano tantissimi, e anche il fatto che non furono mai trovati i cadaveri dei  suoi cugini che dormivano con lei, forse fusi insieme alla casa.
I primi tempi sopravissero vendendo il ferro che trovavano sotto terra, nessuno della popolazione era al corrente dei pericoli delle radiazioni, poi la madre  cucì abiti in stile occidentale con avanzi di kimono e divise, lavorando anche per lei che era impossibilitata a farlo e tornò comunque a scuola.
Ricorda le vessazioni subite per il suo aspetto e sottolinea che vi furono differenze tra le vittime della tragedia, infatti alcune come lei persero tutto mentre altre conservarono almeno qualche bene.
I suoi concittadini la criticarono molto anche per la scelta di andare negli Stati Uniti  a farsi operare dal nemico ma lei testimonia anche il suo risentimento contro l’imperatore Hirohito che disse che aveva pietà per le vittime ma che la bomba era stato un atto necessario per far finire la guerra.
La sua vita dopo le 26 operazioni di chirurgia plastica è stata dignitosa ma la bomba se l’è sempre portata dentro, inoltre ha vissuto sempre con il rimpianto di non aver mai potuto costruirsi una famiglia sua.
La testimonianza finisce con questa sua riflessione.
“Ci dicono che le bombe hanno portato la pace. Ma come è possibile costruire la pace sulla miseria e la soffernza?”

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